Malanni di giustizia,
ci vuole una rivoluzione culturale
di Francesco Lacerenza

Malanni di stagione, Oreste Lo Pomo

Malanni di stagione, Oreste Lo Pomo

Ho letto malanni di stagione, romanzo di Oreste Lo Pomo edito da Cairo, esattamente in tre ore e cinquantaquattro minuti. Quanto basta per poter affermare che si legge tutto d’un fiato. Il racconto è un affresco dei nostri tempi. Sullo sfondo c’è la provincia italiana, anzi si intuisce che è proprio la nostra, e in primo piano c’è un problema nazionale, quello della giustizia.

Il tratto e i colori dell’affresco sono quelli della pittura napoletana di fine ottocento, veritiero il primo e variegati e ombrosi i secondi. Con tante figure, quelle che ognuno di noi incontra ogni giorno fin dal mattino, prima nella propria casa, poi per strada e infine sul posto di lavoro. Ognuna che racconta di se e di qualche altra, perché è così in provincia, e tutte insieme dell’animo umano, compreso quello del povero amico ingiustamente accusato, messo dentro e dimenticato.

E’ un paradosso utilizzare la metafora pittorica per un autore come Lo Pomo che ama la poesia. Eppure il libro ha molto più la velocità comunicativa del quadro piuttosto che la lenta riflessione della poesia. E Lo Pomo è pure coraggioso, virtù più del pittore che del poeta. Scrive di un tema delicato senza sconti per nessuno e con onestà intellettuale invidiabile.

Oreste Lo Pomo

Oreste Lo Pomo

Negli stessi giorni dell’uscita del libro è apparso sul Mattino di Napoli un articolo firmato da Massimo Krogh che auspica una rivoluzione culturale per la nostra giustizia malata. A dispetto della nostra costituzione in cui si afferma che la responsabilità penale è personale, scrive Krogh, un’allarmante patologia dell’azione penale, non adeguatamente bilanciata e troppo spesso orientata sui fenomeni piuttosto che sulle persone, al punto d’investire non soltanto le persone fisiche che commettono i reati ma anche le sfere (territoriali, funzionali, societarie e quant’altro) in cui questi vengono commessi, cancella di fatto il principio di “personalità” coinvolgendo e incarcerando soggetti che poi verranno prosciolti e risarciti; arrestati solo perché appartenenti alla sfera investita dall’indagine. Il nostro Paese è in ritardo rispetto al mondo civile avanzato, denuncia Krogh,  conservando un’ampiezza e un’obbligatorietà del potere d’accusa che finisce con lo sfumare il settore delle garanzie.

Oreste Lo Pomo

Oreste Lo Pomo

Lo stesso fa Lo Pomo con il suo romanzo, denuncia. Ironico, a tratti disincantato, in punta di fioretto, ma denuncia. Chissà se i due si conoscono. Ma l’appello della cultura è lo stesso, e Lo Pomo lo rilancia nel libro e fa dire ad un avvocato che “Oggi i tribunali del riesame sono completamente appiattiti. Non c’è giudice che abbia il coraggio di contraddire un Pm o un Gip. C’è un clima di giustizialismo imperante. Non c’è equilibrio tra accusa e difesa. Diventa addirittura inutile presentare istanze di scarcerazione. Lo dico sempre ai miei colleghi. L’Avvocatura è perdente. Occorre che la camera penale avvii una rigorosa riflessione su questi temi”. Di più, occorre una rivoluzione culturale prima che il male di stagione faccia i danni di cui soffrirà alla fine uno dei protagonisti del romanzo. Bravo Oreste, buona provocazione, pennellata da maestro.

E quando si legge l’ultima pagina, si resta con un po’ di amaro in bocca, lo stesso che resta dei buoni vini e dei bei libri.