Riproponiamo l’analisi di uno studente di mastersport pubblicata da www.calcioefinanza.it

di Mattia Bafundi (studente MasterSport)

 

 

L’ordinamento italiano è riuscito a compiere un passo decisivo verso il futuro del sistema sportivo del Paese. Con il decreto legislativo n.36 del 28 febbraio 2021, in attuazione dell’articolo 5 della legge 8 agosto 2019, n.86, infatti si è innescato il meccanismo che ha portato all’apertura al professionismo per le atlete di sesso femminile.

Naomi Osaka

Un risultato storico che ha permesso di mettere mano al gender gap tra donne e uomini nello sport, che per decenni ha impegnato figure istituzionali e atleti di primo piano in una battaglia prima culturale, e poi politica per la parità di genere.

Grazie a figure internazionali come Billie Jean King, Tegla Loroupe, Megan Rapinoe, Nadia Elena Comăneci, Serena Williams, o le italiane Federica Pellegrini, Sara Gama, Valentina Vezzali, Lea Pericoli (solo per citare alcune grandi donne e atlete), dal 1° luglio 2022 fare la calciatrice è una professione vera e propria, a norma di legge. Una norma sul professionismo nel calcio femminile, attesa per 54 anni di campionato.

Valentina Vezzali

Seppur le atlete di cui sopra non appartengano tutte alle stesse discipline, le loro carriere sono legate da una costante comune da evidenziarsi: l’interesse riservato dai fan nei loro riguardi.
Si pensi al paradosso di un’atleta non professionista, secondo l’ordinamento nazionale, che comunque riesca ad attrarre investimenti, attenzione e compensi da parte di grandi brand sulla propria immagine.
É una realtà con la quale le calciatrici della nostra serie A hanno dovuto convivere fino ai giorni nostri.

Gender gap e sport femminile – le scelte dei brand internazionali

Federica Pellegrini

Eppure brand globali scelgono calciatrici, tenniste, cestiste e ginnaste come propri main sponsor per campagne pubblicitarie, eventi o contenuti social. Tanto è vero che le dieci atlete più pagate al mondo hanno guadagnato nel 2021 un totale di 167 milioni di dollari lordi, secondo le stime di Forbes.
Un dato in crescita del 23% rispetto al 2020 e un balzo del 16% rispetto al precedente record di 143,3 milioni di dollari stabilito nel 2013.
La tennista Naomi Osaka comanda la classifica, con delle total revenues vicine ai 57,3 milioni di euro, 55 dei quali provenienti da attività non legate alla carriera nel circuito WTA della ventiquattrenne giapponese.
Cifre dalla portata economica rilevante, che rendono sempre più centrale il tema del tennis rosa, come disciplina di punta in termini di attenzione mediatica, giro d’affari e investimenti sullo sport femminile. Si pensi che ai gradini più bassi del podio della classifica figurano le due sorelle Williams, tenniste generazionali, ma certo non più tra le dominatrici del circuito. Naomi Osaka e la più giovane delle sorelle Williams, Serena, però sono solamente dodicesima e ventottesima per guadagni se comparate con gli atleti di sesso maschile.

Gender gap e sport femminile – le differenze tra le singole discipline

Serena Williams

Se il tennis, come anticipato, viene spesso preso come prototipo di sistema balanced nel trattamento riservato a campionesse e campioni, l’edizione 2022 degli Internazionali d’Italia ha rappresentato un altro terreno di scontro sul tema del gender gap, proprio perché il prize money per il torneo maschile è stato fissato a 5,4 milioni di euro mentre, quello femminile invece superava di poco la cifra dei due milioni e mezzo. Altro contesto sportivo nel quale si è registrato un livellamento di trattamento in termini di prize money tra generi è quello degli sport acquatici. Celebre la polemica della leggenda dello sport nostrano e del nuoto in generale, Federica Pellegrini, che già nel 2009 contestava una diversità di riconoscimento economico riservatale in seguito ai trionfi Mondiali disputati, all’epoca, a Roma.

Ad oggi, a tredici anni dalle parole della campionessa azzurra, il prize money fissato per gli atleti vincitori dell’oro ai mondiali è del tutto parificato, e gli atleti nel nuoto attirano l’interesse commerciale dei brand in egual misura, a prescindere dal genere.
Passando al mondo del golf, si rileva che la Royal & Ancient Golf Club di St Andrews, che organizza British Open di golf femminile, ha aumentato il montepremi del 40%, arrivando a 4,5 milioni di euro. Valore ben distante tuttavia, dai 14 milioni destinati alla compagine maschile.

Nel calcio lo stato dell’arte è del tutto diverso e le complessità sono molteplici.
L’affermazione del sistema del calcio femminile, sta ricevendo tuttavia una spinta importante di alcuni brand, che rilevando l’interesse in crescita da parte dei fan, iniziano a valutarne le opportunità di mercato.

Gli ultimi mondiali di calcio femminile, Francia 2019, hanno dato il via a questa rivoluzione: la finale è stata la più vista della storia, in ambito femminile, con una media di 82 milioni di spettatori nel corso dei 90 minuti (+56% rispetto al 2015) e un totale di 263,62 milioni di spettatori per tutta la manifestazione.

Gender gap e sport femminile – le campagne dei marchi sportivi 

Questi numeri hanno convinto Adidas, l’azienda leader nella produzione e distribuzione di abbigliamento sportivo, a sostenere l’empowerment femminile, dando via alla campagna “Watch Us Move”, per celebrare e supportare le atlete, volendo trasmettere il messaggio che anche nello sport professionistico sarà necessario arrivare ad un totale abbattimento e soppressione del gender gap. Questa iniziativa include la realizzazione di una linea di activewear sviluppata a seguito di uno studio sul corpo delle donne e che risponda ad ogni loro esigenza.

Il Comitato esecutivo Uefa

La Puma ha siglato nel 2021 un accordo con Women Win. La partnership tra Women Win e PUMA mira ad aumentare la visibilità delle atlete e a sostenere iniziative che abbattano gli ostacoli all’accesso di ragazze e donne allo sport, in particolare modo nel calcio. Nel 2020, PUMA ha donato 100.000 euro all’organizzazione in occasione della campagna “Forever Tied Together” per supportare gli sforzi di questa realtà nel promuovere l’equità di genere.
Questi interventi da parte di grandi brand, che di fatto sorreggono con i propri investimenti una parte rilevante del calcio maschile, hanno mosso coscienze e istituzioni calcistiche internazionali, portando a due recenti delibere, da considerarsi storiche.
Nel vecchio continente, il Comitato Esecutivo UEFA, riunito a Chisinau, in Moldavia, ha approvato un sostanziale aumento delle entrate destinate alle squadre partecipanti all’Europeo di calcio femminile, in programma nel 2022 in Inghilterra, insieme ad un nuovo modello di distribuzione dei ricavi. Le 16 squadre qualificate si divideranno un totale di 16 milioni di euro, il doppio del montepremi totale di 8 milioni di euro previsto nell’edizione 2017 nei Paesi Bassi. La distribuzione finanziaria inoltre includerà maggiori importi garantiti oltre ai bonus basati sul successi nella fase a gironi.

Gender gap e sport femminile – il modello Usa 

Allyson Felix

È oltreoceano però che si sta concretizzando la rivoluzione definitiva, resa possibile grazie alla decisione storica presa dalla Federazione Usa di soccer. Dallo scorso maggio del 2022, i calciatori e le calciatrici della nazionale di calcio degli Stati Uniti guadagneranno la stessa paga e divideranno in parti uguali i bonus della Fifa. Sino alla stagione sportiva corrente, le giocatrici della nazionale americana guadagnavano il 40% in meno dei loro colleghi uomini.

L’abbattimento definitivo delle barriere di genere passerà anche dall’inserimento di clausole contrattuali che favoriscano una nuova e migliore attenzione alla gestione dei periodi di gravidanza e maternità, annosa questione che ha a sua volta acceso diversi dibattiti.

Nell’estate del 2019 la Nike ha deciso di applicare una nuova maternity policy ai contratti stipulati con le atlete sponsee. Grazie all’aggiornamento delle clausole di base di tali contratti, viene oggi garantito alle sportive un compenso pieno, rincarato da bonus, per tutto il periodo della gravidanza e per i dieci mesi successivi al parto. Bisogna sottolineare, però, che tale innovazione è stata apportata ai contratti di sponsorizzazione Nike, solo dopo la dura polemica sollevata dalla campionessa olimpica statunitense Allyson Felix, che ha scelto di slegare la sua immagine dal celebre brand. La velocista è arrivata a tale decisione, poiché, una volta tornata in attività dalla maternità, si è vista offrire dal brand americano un contratto di sponsorizzazione dalla cifra ribassata del 70%.

In chiusura, è bene riportare l’articolo 6 della Carta Olimpica: “Il Movimento Olimpico ha come scopo di contribuire alla costruzione di un mondo migliore e più pacifico educando la gioventù per mezzo dello sport, praticato senza discriminazioni di alcun genere e nello spirito olimpico, che esige mutua comprensione, spirito di amicizia, solidarietà e fair-play”.

Definendo l’intero universo sportivo femminile come professionistico, si riusciranno a concretizzare i principi d’uguaglianza e non discriminazione di genere imposti dalla Carta Olimpica, concedendo alle atlete di accedere a tutele, condizioni economiche, garanzie previdenziali e sviluppo professionale, possibili solo dopo aver stipulato un contratto professionistico e lavorativo completo.

Analisi a cura di Mattia Bafundi, studente MasterSport