Beh, capita che in questo lungo periodo di costrizione in casa si pensi, capita che si ricordino fatti e situazioni, perchè non si può sempre pensare e riflettere su quel che intanto ci accade intorno, che caspita! E allora capita che ritornino in mente anche storie e favole. A me è venuta in mente questa che vi racconto appresso. A dire il vero non so perchè, non so quanto il ricordo sia fedele e quanto no, quanto ci sia di mio e quanto di altri. So però che le favole sono sempre la metafora della vita, e allora…

 

di Ghino di Punta

 

Un giorno il leone si svegliò deciso a fare un giro per la savana e verificare il suo tasso di gradimenti negli altri animali suoi sudditi.

E così, datosi una pettinata alla criniera, calzata la corona, indossato il manto di ermellino, caramella all’occhio destro, prese il bastone reale e uscì. Fece pochi passi, vide un facocero che, sorpreso della sua presenza, si fermò immobile.

“Chi sono io?” gli chiese il leone.

“Siete il re” rispose

“Bravo. Hai risposto bene, e per questo non ti mangerò”

E riprese a camminare fischiettando baldanzoso

Incontrò un branco di gazzelle che subito si diedero alla fuga. Il leone con un balzo ne bloccò una: “Chi sono io? Mi conosci?” le chiese

La gazzella, terrorizzata, rispose con voce tremula: “voi siete il re della savana, il nostro re”. Il leone compiaciuto allentò la presa: “sei libera, oggi sono di buon’umore. Và!”

Ormai la sua giornata prometteva bene, quando incontrò una giraffa. Non fuggì, lo guardava dall’alto verso il basso. Il leone le chiese subito: “Tu, lo sai chi sono io?” “Sì Maestà” rispose la giraffa. “siete il nostro re”. “Puoi andare anche tu, non sarai il mio pasto di oggi”. Ormai la felicità si era totalmente impossessata di lui che fischiettava, cantava, parlava senza pensare a quel che diceva… Era innamorato di se stesso: salutava gli uccellini, offriva radici ai facoceri, faceva il tifo per le zebre, prometteva cose buone e rassicurava tutti i suoi sudditi. E fu così che arrivò nei pressi di una pozza d’acqua dove un elefante si stava abbeverando. Gli si avvicinò canticchiando “Gastone” e gli disse: “ehi elefante, ciao”. L’elefante non lo degnò manco di uno sguardo e continuò a bere. Il leone alzò la voce: “Ehi, elefante, chi sono io?” L’elefante non si scompose, per cui il leone con voce ancora più alta gli disse: “Oh! Dico a te: Lo sai chi sono io?”. L’elefante smise per un attimo di abbeverarsi, alzò la testa, lo guardò e riprese a bere tranquillamente. A quel punto il leone stizzito si mise a urlare: “Elefante della malora, insomma, mi rispondi o no? Chi sono io?”. Il pachiderma a quel punto smise di bere, si girò e con un barrito prepotente afferrò il leone con la proboscide e dopo averlo fatto roteare lo scagliò con violenza contro una roccia. Il leone, in posizione sbilenca e tutto ammaccato e impolverato, con la corona che gli copriva un occhio e il mantello di ermellino impolverato, si sistemò di nuovo la caramella sull’occhio cercando il bastone che aveva perso nel volo, abbassò il tono di voce e mentre tutti gli animali suoi sudditi applaudivano l’elefante, lui gli si rivolse e disse: “Oh!… ma quando non la sai una cosa c’è bisogno che fai il nervoso?”. E da quel giorno il leone smise di ruggire a vanvera per paura dei suoi sudditi.