Il vero capo politico del M5S è Conte, che rifugge dal populismo. Il voto su Rousseau solo un escamotage per propagandare una leadership ormai in declino. Dall’accordo di Governo guadagnano consensi solo PD e Centrodestra.
di Angelomauro Calza

Luigi Di Maio gusta i peperoni cruschi di C’era Una Volta

L’ormai prossimo varo del nuovo Governo PD-M5S, per la sua genesi e la possibile evoluzione, non può non stimolare alcune riflessioni che coinvolgono giocoforza prevalentemente i Cinquestelle e ancora di più il loro capo politico “ufficiale”, Luigi di Maio. E’ sotto gli occhi di tutti che il Movimento è ormai nei fatti spaccato in due, tra populisti della prima ora e nuovi politici attenti, meno animosi, più propensi alla mediazione e alla strategia.  Il fatto che Di Maio abbia esultato oltremodo del risultato della consultazione on-line che ha decretato il “SI’” al governo con il PD a guida Conte, la dice lunga sul bisogno che il pomiglianese ha di dimostrazione di consensi personali. Arrivare a parlare, come ha fatto, di grande successo, di dimostrazione di democrazia diretta, addirittura di record del mondo di partecipazione ad una consultazione on-line non può non essere interpretato come pura propaganda, perchè alle ultime politiche hanno votato per il M5S quasi 11 milioni di italiani, di questi appena 115.00 si sono iscritti alla piattaforma, 38.000 circa non hanno partecipato alla consultazione, 23.000 hanno detto NO, e 56.000 (meno della metà degli iscritti) hanno invece votato a favore dell’accordo.

Giuseppe Conte

Giuseppe Conte

Quando sono in pochi a condizionare scelte che riguardano milioni di persone non è autorevolezza o peso politico, quando si tiene sotto scacco una nazione in attesa che meno dell’un per cento degli elettori ne decida il futuro è una sorta di “dittatura democratica” nel gergo più complesso e dotto, una presa per il culo se la si definisce più genuinamente.

Per questo è un bene che, alla fine, che Rousseau sia stato il mezzo per acquisire il SI’ ad una siffatta compagine governativa, ma io, al posto di Di Maio, con questi numeri e un partito in caduta, da capo politico di un così vasto (una volta) movimento, non esulterei, anzi, mi preoccuperei. E mi preoccuperei soprattutto di decidere se – pare da ministro degli esteri –continuare a fare il reazionario, il rivoluzionario per alimentare l’essenza populista per una mera gestione di consensi personali e per continuare ad avere visibilità o se invece, vista la delicatezza del ruolo, decidere di rivedere in chiave di dialogo e diplomazia la  presenza nella squadra di Conte, soprattutto con Roberto Gualtieri al Mef, e Paolo Gentiloni come Commissario europeo che – graditi all’Europa soprattutto perché conosciuti e riconosciuti credibili – possono garantire al Paese una certa serenità e solidità dal punto di vista economico-finanziario.

Paolo Gentiloni

Paolo Gentiloni

Non dimentichiamo infatti che nel febbraio scorso per la prima volta dal dopoguerra la Francia ha ritirato la sua rappresentanza diplomatica da Roma proprio in conseguenza della visita del vicepremier Luigi Di Maio insieme a Di Battista ad alcuni rappresentanti dei gilet gialli e che – nonostante tutto – il capo del M5s ribattè alle motivazioni addotte da Parigi parlando di un “incontro pienamente legittimo”, fomentando così attriti diplomatici con i cugini d’Oltralpe, che Conte e Mattarella riuscirono a ricomporre (però alla Farnesina ora dovrebbe andarci proprio Di Maio…).

 

ROBERTO GUALTIERI

L’impressione allora è che seppur ancora conclamato come capo politico del Movimento, a tenere ben salde le redini dell’azione politica dei Cinquestelle sia in realtà Giuseppe Conte, che – ormai conosciuto e apprezzato in Europa – ha condotto le trattative con i Dem, con Di Maio che  vede  traballante la sua posizione interna al M5S e che per ribadire la sua leadership  tenta di far passare come un grande successo una consultazione online che in realtà nei numeri e nei fatti lascia il tempo che trova se rapportata all’importanza di metter su un Governo di legislatura, seppur in alleanza con un nemico dichiarato da sempre. Ma questo è un dettaglio: tutti i partiti erano nemici dichiarati dei Cinquestelle, che hanno sempre proclamato di voler governare da soli, di combattere la poltronite, gli inciuci, gli accordi con “quella partitocrazia che tanto ha nuociuto all’Italia”.

Il risultato è che – tradendo i sani principi di sempre – con Di Maio condottiero il M5S si è alleato prima con la Lega, ora con i Dem, facendo registrare per questo un preoccupante calo di consensi negli ultimi 15 mesi. E diventa un dettaglio anche di fronte al fatto che con la sua politica affidata nelle mani di Di Maio, politicamente filantropo come pochi, il M5S prima ha fatto diventare un colosso la Lega di Salvini, ed ora si appresta a fare lo stesso con il Partito Democratico, sacrificandosi oltremodo.

Nicola Zingaretti

Ecco perché in questo contesto svetta Giuseppe Conte, uomo di garanzia e credibilità, ed ecco che si rianimano anche Renzi e Zingaretti, ritornati uniti proprio per non perdere la ghiotta occasione offertagli su un piatto d’argento di ritornare protagonisti non solo dello scenario politico, ma anche delle tabelline dei consensi elettorali: ora uniti, le diatribe interne si risolveranno dopo, in un secondo momento.

Dall’altro, a destra, lato Salvini, Berlusconi e Meloni traggono forza da questa ibrida alleanza per sostenere le tesi anticinquestelle e PD che attirano ulteriori consensi. Appare chiaro allora che da questa alleanza di Governo, sia pur per motivazioni differenti, ci guadagnano a destra e a sinistra, ed è ancora più ovvio e matematico che se si è in tre e in due ci guadagnano… a pagarne le spese è il terzo.

 

 

Matteo Salvini

Matteo Salvini