Bibi Bianca, palermitano, è saggista, autore per il teatro, regista e attore. Tra le sue opere teatrali: E fecero l’Italia; Opera buffa; il Decamerone. Tra i suoi scritti: Da papa Damaso a Clemente IX. Il godurioso regno di infallibili peccatori, santi ed eretici; Il ladro di Palermo, Briganti, Pensiero Bandito, Il ladro di cannoli. Vive tra Palermo e il Brasile

di Bibi Bianca

Circolare del Preside del Cannizzaro: divieto per le ragazze dell’Istiuto di trucco pesante e minigonna. All’Interstudentesco si era discusso ampiamente di questa bien joué e Montedoro aveva consigliato un’ adeguata risposta con il matiné metà la cosc, che poi significava entrare in classe con le gonne corte…a metà coscia.

Per fare questo occorreva presentarsi davanti all’istituto con delle gonne normali, visto che il Preside si piazzava davanti al cancello con l’occhio alle gambe e la riga in mano, pronto a rimandare a casa chiunque si fosse presentata con la gonna sopra al ginocchio.

La soluzione suggerita da Montedoro fu il classico uovo di Colombo. Le ragazze entrarono a scuola con le gonne a misura stabilita, poi, una volta in classe, le tirarono su stringendo la cinta sotto il petto.

La trovata fece il giro per l’istituto e piombò in presidenza con la forza di uno sberleffo. Un centinaio furono le studentesse sospese, qualcuna pianse, qualcuna si beccò un ceffone dal padre e tanta solidarietà materna, ma avevano vinto. La notizia uscì sopra i quotidiani. Se ne parlò in città, tra risolini e battute. Intervenne il provveditore. Il preside fece dietrofront. Le sospensioni furono annullate.

Montedoro assaporò personalmente la sua vittoria in compagnia di una ragazza carina, piccola come lui, naturalmente con minigonna e trucco pesante.

A cinema, stavano schiacciati l’uno contro l’altra. Le mani allora si sfioravano, si stringevano, si scontravano sotto la minigonna quando la lotta era contro un collant bianco. Lei si ritraeva, cedeva un po’, poi s’irrigidiva. Si abbandonava.

Di solito pomiciavano a Villa Garibaldi, sulla panchina addossata al muro, sotto la via Marchese Ugo, incuranti dei guardoni che si affacciavano dalla ringhiera con aria indifferente.

Una volta erano stati anche nella galleria di monte Pellegrino dove le auto si rintanavano l’una dietro l’altra, separate solo da pochi metri. Nel posto davanti c’era Pino il falegname, un amico di Villagrazia che allora aveva una cinquecento e una fidanzata di sedici anni, commessa in una merceria.

Nel sedile posteriore c’erano alloggiati Montedoro e compagna. Non fu una buona idea, lo spazio era minimo e in quanto a intimità capitò più di una volta che quello davanti sussurrasse e quella dietro rispondesse.

Chi si accollava di pagare il pedaggio si rifugiava a Capo Gallo, dove l’entrata era proprietà privata. Le macchine si posteggiavano nella stradina che costeggiava la scogliera o più su, di fronte la pista dei Go-Kart. Era un posto tranquillo, pieno di spazi dove arrivava l’odore del mare e la luce rossa del tramonto.

I vetri delle macchine erano tappezzati dalle pagine dei quotidiani sportivi; era una bella lotta tra la Gazzetta e il Corriere dello Sport. Quelli che stavano meglio economicamente e tifavano solo per le squadre del nord si portavano appresso la Gazzetta, civettuola col suo colore rosa. La fascia meridionale e popolare puntava sul Corriere; quelli che non avevano soldi da spendere in giornali coprivano i finestrini con la carta che si usava per avvolgere il pane. Al panificio Arnetta c’era sempre uno che chiedeva un panino avvolto in due metri di carta. Giuseppe stava alla cassa quelle volte che aiutava il padre. Inizialmente pensava che i fogli, morbidi e di colore marrone, servissero a sostituire i rotoli di carta igienica, ma quando gli fu chiesto se per caso si trovasse un po’ di nastro adesivo capì che doveva trattarsi di altro.

– Devi tappezzare casa? – chiese con un sorriso ironico.

– La cinquecento… – rispose convinto l’altro.

– E per incartare la macchina ti devi fottere la carta mia?

– È tutta pubblicità.

– Pubblicità la minchia! – sbottò Giuseppe, risentito. – Sulla carta non c’è scritto il nome del panificio.

– E il problema è questo? Tu non ti devi preoccupare, lo scrivo io con la penna: la carta è gentilmente offerta dal panificio Arnetta… Tu, però, mi devi dare un altro rotolo…

E dentro le auto naturalmente cuscini, musicassette, bomboletta di profumo muschio selvaggio, plaid e thermos.

Si chiamavano garçonnière sul mare. Le più piccole ogni tanto sembravano avere un brivido e cominciavano a vibrare, ma non era la brezza marina di Mallarmé, tra l’ignota schiuma e i cieli.