Ennesima situazione determinata da legge elettorale e riduzione del numero dei parlamentari. Dopo trent’anni ci si rende conto dei danni che ancora causa il Referendum che abolì le preferenze e che Craxi non voleva
di Angelomauro Calza
Le voci sono delle più disparate, si susseguono incessanti, perché i personaggi interessati sono due fratelli che contano (e fanno contare… soprattutto i voti) e quindi di quel che sarà di loro si ciba chi ha fame di fantasie, di scandali, di inciuci e leccaculismo. Chi sono? Sono Amedeo e Carmine Cicala, il primo sindaco di Viggiano, il Comune più texano d’Europa, l’altro Carmine, Presidente del Consiglio regionale della Basilicata.
Dopo la mancata candidatura di Amedeo, obiettivo cui stava lavorando da anni, su cui contava per fare il balzo dalla Val d’Agri a Roma, qualcosa si è rotto nei rapporti tra lui e il suo partito, la Lega. Quella Lega che in tempi recenti per settimane ha difeso, riuscendoci, la postazione di Carmine alla Presidenza del Parlamentino lucano. I Cicala contano sui consensi di qualche migliaio di cittadini, e in termini di voti spostano almeno un punto e mezzo-due punti in percentuale che in soldoni, se diamo per buono che a votare andranno circa duecentocinquantamila elettori, si traducono in circa cinquemila preferenze. non è molto? beh, se hai già il 17/18 per cento può essere, ma in questo particolare momento storico in Basilicata un 2 per cento può cambiare molte cose. Diciamolo subito: delle voci che parlano di una interlocuzione con Marcello Pittella (e quindi Azione/IV) non abbiamo trovato conferma alcuna, e nemmeno di quelle che li danno per prossimi all’approdo al partito della Meloni. Con Forza Italia non c’è storia, come per un eventuale arrivo a rinforzare il Partito Democratico.

Il Presidente del Consiglio regionale, Carmine Cicala
Un whatsapp di persona molto vicina ai due fratelli alla mia domanda “che sta accadendo?” mi liquida in maniera lapidaria, ma decisa e chiara: “si sta riflettendo”. E lasciamoli riflettere, allora, i due fratelli e i loro più fedeli amici e consiglieri: prima o poi sapremo qualcosa, ce la faranno sapere. Di sicuro ora non sarebbe il momento

Amedeo Cicala
giusto, qualunque loro mossa ufficiale farebbe correre il rischio di destabilizzare situazioni che invece nelle intenzioni e nei progetti dovrebbero favorirli in qualche modo. Se dovessimo ipotizzare qualcosa, un effetto, un segnale, una prova di una loro decisione non ufficializzata, questa potrebbe palesarsi solo a spoglio ultimato, il 26 settembre: sarà il responso delle urne, probabilmente, a dirci dove sono finiti i voti dei Cicala, e potrebbero pure restare là dove sono ora, nella Lega, chi lo sa? Certo, non sarà facile individuarli con certezza, visto che non sono i soli a far pensare a cambi di simpatie elettorali, ma ci sono persone esperte che sapranno far parlare i numeri, e noi ascolteremo le loro conclusioni. Di sicuro la nausea causata dalla “riffa delle candidature”, come la definisce Nicola Cariglia, ha causato non pochi danni a tutti i partiti. Tutto iniziò trent’anni fa, con il referendum che nel 1991 (proprio in quell’anno Giovanni Paolo Secondo proclamò la Madonna di Viggiano Protettrice della Basilicata) abrogò le preferenze che l’elettore poteva esprimere. Cariglia spiega che “la spinta al referendum veniva da un “accrocchio” trasversale di politici, giornali, e grossi imprenditori. L’esponente di punta era Mariotto Segni. Al voto parteciparono il 62,50% degli elettori e la maggioranza raggiunse oltre il 95%. Fu l’inizio della discesa che ci ha portato a questo punto: una politica che ha abdicato alla propria funzione, lasciando un vuoto coperto da altri poteri non sempre visibili. E una opinione pubblica frastornata, male informata, e privata a poco a poco, con leggi ad hoc, del potere di scegliere i parlamentari. Ma gli elettori non sono senza colpe. Dopo quell’infausto referendum, tutti gli atti successivi che ci hanno portato a questo punto hanno avuto formale assenso di parlamentari devoti ai loro capibastone e di elettori fortemente suggestionati dalle sirene populiste. E sempre, badate bene, convinti dal nobile sentimento di fare un dispetto, ovvero un atto di ribellione, alla vecchia, logora e corrotta classe politica. La stessa motivazione che fu alla base di quell’atto iniziale, ovvero il referendum contro le preferenze. Si diceva allora, e si dice anche oggi, che fossero la causa della corruzione perché le campagne elettorali, per la necessità di trovare voti di preferenza, sollecitavano, ancora prima, la ricerca dei soldi. Sono passati oltre trenta anni, e siamo alla vigilia dell’insediamento di un parlamento, ridotto nei suoi membri, ancora una volta con senatori e deputati indicati dalla solita oligarchia, e dunque ancora più controllabile. Ovvero, la promessa di diminuire la corruzione si è rivelata un inganno. Anzi, è cresciuta per quantità e, peggio ancora, per qualità. Infatti, incide direttamente sulle regole della democrazia, dal momento che il taglio del cordone ombelicale fra eletti ed elettori le rende opache. Lo si vede benissimo scorrendo i nomi e le qualifiche dei candidati che si leggono in questi giorni: magistrati, ambasciatori, alti burocrati, etc. A formare una matassa che lascia intendere quanto la separatezza e l’autonomia dei poteri sia in Italia compromessa. E quanto sia diventato una finzione il legame con gli elettori. Per ricrearlo, è necessaria una nuova, ennesima legge elettorale ripristinando le preferenze. O, in alternativa, i collegi uninominali”.
© copyright www.angeloma.it – è consentita la riproduzione anche parziale a scopo di critica, confronto e ricerca purché con citazione