Indonesia, Vietnam, Thailandia, Singapore e Malesia sono tutti impegnati in trattative con l’amministrazione Usa. Xi ha ammonito che abbracciare le indicazioni di Washington a discapito degli interessi della Cina avrebbe un costo e delle ritorsioni.
di Angelomauro Calza
In Cina gli uomini vanno in pensione a 60 anni, le donne a 55. Doveva essere questa la grande forza per il rilancio dell’economia imperiale: circa trecento milioni di cinesi collocati a riposo e che nelle previsioni fin troppo rosee avrebbero trascorso gran parte delle loro giornate in giro, spendendo i loro yuan per tenere in piedi e contribuendo così a rinsaldare il sistema economico nazionale. Così come gli Usa per rilanciare l’economia tendono a riportare nei confini nazionali le produzioni, anche la Cina sta cercando di passare da un modello di crescita basato sull’esportazione e sugli investimenti a uno incentrato sul consumo interno. Tuttavia, un’elevata percentuale di pensionati che non spende può ostacolare questa transizione, rallentando lo sviluppo del settore dei consumi domestici, che è essenziale per una crescita economica sostenibile a lungo termine. Con Questo quadro interno, Xi Jinping ha recentemente fatto visita ad alcuni Paesi del Sud est asiatico. Con quali intenti e con quali esiti? Lo scenario è sempre quello di una Casa Bianca afflitta dall’incertezza commerciale globale causa dell’aumento dei dazi, il più squillante dei provvedimenti di Trump che però contestualmente sta esercitando pressioni sui maggiori partner asiatici perché interrompano i loro rapporti con la Cina. Xi ha ammonito Cambogia, Malesia e Vietnam che abbracciare le indicazioni di Washington a discapito degli interessi della Cina avrebbe un costo e delle ritorsioni. Thailandia, Vietnam, Malesia, Singapore hanno aumentato le esportazioni avendo deciso di scegliere l’opzione China plus one, che mirava a ridurre la dipendenza della Cina: ciò ha portato Trump a minacciare l’introduzione di dazi più elevati proprio sulle produzioni di questi paesi, salvo popi concedere una sospensione di 90 giorni riuscendo nell’intento di scatenare una “corsa all’oro” tra i paesi del Sud-Est asiatico rappresentata da una negoziazione che giunga ad accordi favorevoli.
Per questo ora, Indonesia, Vietnam, Thailandia, Singapore e Malesia sono tutti impegnati in trattative con l’amministrazione Trump. In soldoni, le nazioni che ha visitato di recente Indonesia, Vietnam, Cambogia XI non si sono sbilanciate: non si sono schierate, stanno sia con la Cina che con gli Usa. In effetti schierarsi con la Cina più o meno apertamente non conviene a nessuna delle nazioni visitate, soprattutto e quasi essenzialmente perché nonostante tutti i lati negativi, gli Usa sono sempre una democrazia e la Cina è sempre una dittatura. Questo atteggiamento può tornare a favore di Trump? Dipende. Se fa inversione di marcia su alcune cose sì, ma quel che vuole la Cina è avere nella sua sfera di influenza anche l’Australia (che si oppone). Quasi a dire a Trump “tu domini l’emisfero occidentale, io quello orientale con Giappone e Australia”, ma è cosa troppo ambiziosa per poterla pensare fattibile nella realtà. C’è una potenza dominante e una che sta venendo fuori, che cresce e che la minaccia quella dominante: è qui che nascono i problemi.
Ma, ritornando per concludere agli Stati Uniti, nelle decisioni di Trump quanto ha pesatosull’abolizione dei dazi su alcune produzioni l’influenza che esercita Elon Musk? In realtà a lui il provvedimento non è piaciuto, sta perdendo soldi. Tanti soldi. Guadagna molto grazie allo stato con i satelliti, ma è il settore delle auto quello più conosciuto del mondo e che lo sta fiaccando perché viene sempre più colpito ovunque ed è precipitato in borsa. A Roma hanno dato fuoco a una concessionaria Tesla: ora chi ha un’auto di questa marca ha messo un adesivo in cui sostanzialmente avverte che l’ha comprata “prima che Musk sostenesse Trump”. Ora, in estrema sintesi, quello che sta facendo Trump è tentare di riportare la produzione negli Usa perché ha compreso che ciò che porta soldi è la produzione, non la finanza. E tra Cina e Usa, in qusta guerra combattuta a suon di provvedimenti finanziari e commerciali, chi rimane schiacciato siamo noi europei. Chiudiamo con una dichiarazione di Marco Bonometti, presidente delle Officine Meccaniche Rezzatesi ed ex presidente di Confindustria Lombardia: “senza un’azione decisa sui dazi e sulle politiche commerciali, il sistema produttivo europeo rischia di finire in ginocchio. Mentre gli Stati Uniti e la Cina si proteggono con barriere e incentivi, l’Europa appare incerta, senza una strategia unitaria. Abbiamo avuto tre grandi scosse: la guerra, le elezioni in Germania e l’avvento di Trump. Ma Bruxelles non ha ancora reagito. E questo è pericoloso. I dazi non sono una novità, Brasile e Cina li applicano da sempre. Il punto è capire come influiranno sui vari prodotti e settori. L’Europa avrebbe dovuto già introdurre dazi sui componenti cinesi, invece il mercato è rimasto aperto. Gli Usa, al contrario, proteggono le proprie aziende. Serve una politica di reciprocità: se la Cina tassa le nostre esportazioni al 25%, non possiamo accettare che i loro prodotti entrino qui senza barriere”. E’ così che Trump e Xi Jinping giocano a “Toccami Ciccio, Ciccio mi tocca”. Ma è solo un gioco, l’Europa lascia che i bambini si divertano senza disturbarli.