Per ingraziarsi Popolo “adulazioni, falsi elogi e promesse”: nella commedia “i Cavalieri” Viene presentata la parte deteriore della politica, quella “dei sotterfugi e degli inganni, il cui unico scopo è quello di arrivare, costi quel che costi, a gestire il potere”.
di Angelomauro Calza

Stavolta per l’incipit utilizzo anch’io il “copia-incolla”, lo faccio per brevità, ma lo dichiaro, lo virgoletto, lo  evidenzio in corsivo e cito la fonte (molto popolare e a molti invisa): Wikipedia. E’ il riassunto, la trama de “I Cavalieri”, commedia di Aristofane, che l’ha scritta perché “insultare la gentaglia non è una colpa, ma un servizio che si rende alla gente onesta”. Eccola.

“Due servi del vecchio Popolo detestano un terzo servo, Paflàgone, poiché quest’ultimo si è assicurato i favori del padrone con un comportamento ipocrita e falsamente adulatorio, ed è arrivato a spadroneggiare in casa facendo tutto ciò che vuole. Inaspettatamente, un oracolo dà soccorso inasperato ai due fedeli servi del vecchio, rivelando che Paflagone sarà estromesso da un salsicciaio. La scelta di utilizzare un salsicciaio è tutt’altro che casuale: costui è un individuo ancora più immorale, cinico ed ignorante di Paflagone stesso, e quindi particolarmente adatto allo scopo.

Il salsicciaio (appoggiato dal coro dei cavalieri) affronta il rivale in una ridda di minacce, insulti, vanterie e aggressioni fisiche. Il duello poi continua nell’ecclesia e infine davanti al padrone, Popolo, in una serie di scontri verbali, ma anche di lettura di responsi oracolari e persino di preparazione di prelibatezze culinarie, in cui i due contendenti si rivelano sempre più beceri ed abietti. Il salsicciaio, con discorsi di bassa demagogia, riesce infine a risultare vincitore.

Popolo, tuttavia, a questo punto afferma di non essere così stupido come sembra, e che il suo obiettivo era quello di attendere il momento giusto per punire i disonesti. Ecco quindi che, con un rito magico, il salsicciaio (ormai diventato un uomo civile e stimato di nome Agoracrito) ridona a Popolo la giovinezza e gli presenta una bella fanciulla, la Tregua, con la quale il vecchio ora ringiovanito convolerà a nozze e vivrà ricco di sani propositi. Paflagone viene invece condannato a svolgere il vecchio lavoro del suo rivale: il salsicciaio”.

Evidente la metafora di condanna al politico che  deteneva il potere, gestendolo anche con il malaffare e con l’inganno, con false promesse basate sull’attirare l’attenzione su falsi problemi ingigantiti ad arte per far presa. Aristofane lo fa attraverso “i Cavalieri”, in coro (anch’esso metafora che dà il titolo all’opera), che decisero di appoggiare “il salsicciaio” nella sua ascesa. Non per niente al padrone di casa l’autore impone il nome di Popolo, che poi rappresenterebbe il popolo stesso. Ai due servi è affidato il compito, attraverso il testo che recitano, di riassumere la situazione politica del tempo, criticando Paflagone che è riuscito ad entrare nelle grazie di Popolo utilizzando le armi dell’ipocrisia e dell’adulazione, riuscendo così a far perdere credito agli uomini politici dell’epoca, relegandoli a ruoli marginali. In effetti l’intento di Aristofane era chiaro: utilizzare la commedia per descrivere uno dei modi più ingannevoli che possono essere utilizzati per ottenere consenso politico, e così appare chiaramente viziata dagli interessi personali la modalità utilizzata da Paflagone per ingraziarsi Popolo: “adulandolo con falsi elogi e promesse, e facendogli credere cose lontane dalla verità. Viene insomma presentata la parte deteriore della politica, quella dei sotterfugi e degli inganni, il cui unico scopo è quello di arrivare, costi quel che costi, a gestire il potere”.

Ecco. Dopo 2.500 anni Aristofane, ispirandosi all’attuale nostra situazione politica, avrebbe potuto riscrivere la stessa commedia, per consacrare una metafora lunga di secoli. La domanda è: se è vero che i protagonisti in scena ci sono tutti, chi può, oggi, interpretare Aristofane?