Il fotografo di origini titesi ha terminato il suo lungo lavoro che lo ha portato in 9 anni in tutti i paesi della Basilicata. Migliaia di scatti dei centri storici che ha trovato quasi ovunque ormai semideserti

di Angelomauro Calza

“E’ che io ci sono, sono visibile, ma per qualcuno sono invisibile. Non prendono in considerazione me e quello che o fatto, il grande lavoro che ho portato a termine”.

Calvera – © copyright Michele Luongo

Così l’amaro sfogo di Michele Luongo, fotografo per passione, ma quella vera, durante la chiacchierata che ci siamo fatti per parlare el suo lavoro fotografico sulla Basilicata durato anni, un lavoro che lo ha portato nei 131 Comuni della regione dove si è recato per documentare “l’oggi” dei centri storici di quelli che sono luoghi ora per lo più poco popolati.

Quanto è durato quello che tu stesso definisci “Il mio viaggio”?

Ho iniziato nell’agosto del 2013 e ho terminato in solitaria il 27 agosto del 2022. Come è giusto che sia, ognuno fotografa secondo il suo occhio, da Cartier Bresson a De Martino, a Lacava, a Cocchia, a me. Purtroppo è amaro constatare che la Basilicata ormai sta morendo, ma è colpa dei lucani che ormai scelgono sempre le stesse persone, scelgono di farsi ammazzare…

Ma con la morte c’è chi ci fa i soldi

Ah, sì. Ti racconto un aneddoto. Io ancora non sapevo nulla di come funzionassero i siti dei giacimenti petroliferi. Stavo andando con un amico a Gorgoglione, qualcosa non funzionò con il navigatore, e così ci portò per il centro abitato di Pietrapertosa, sotto il cimitero, poi in una zona per noi nuova, una montagna tagliata in due, Tempa Rossa. Ci fermarono delle guardie armate e ci chiesero dove andavamo. Noi cercammo di spiegare che stavamo andando a fare foto a Gorgoglione, ma questa persona in divisa ci disse di aspettare, che doveva chiamare l’altra pattuglia. Quel giorno non facemmo manco una fotografia, perché ci fecero girare l’auto in un cantiere dove beccammo un’asse di legno con dei chiodi che ci bucarono una gomma e così tra una cosa e l’altra, dovendo cambiare strada come ci avevano imposto, facemmo un giro incredibile per la Saurina e ritornammo a Potenza dopo ore senza aver scattato manco una foto.

Lo scatto ferma la realtà. Tu hai fatto scatti durati 9 anni. Ma con quale paese hai iniziato?

Tito

E hai finito con Trecchina e Maratea. Ma in questi 9 anni è cambiata la realtà, quindi il fil rouge tra un paese e un altro, quello che era, quello che è e quello che è stato è al di fuori delle contingenze paragonabili, è un lasso di tempo abbastanza ampio, non sono foto scattate nell’arco di una settimana e poiché uno dei limiti della fotografia è quello di non poter fissare negli scatti attimi di futuro, tra il primo e l’ultimo scatto sarà cambiato qualcosa.

Ceratmente. Alcuni paesi li ho rivisitati e continuo a rivisitarli proprio per questo, come Vaglio, Avigliano, Tito, Satriano. Ci sono altri grandi paesi dove ritornando dopo il 2015, quando trovavo popolati quartieri e centri storici pieni di persone, extracomunitari, anziani. Insomma erano popolati, ora invece non ci sta più nessuno.

Cersosimo – © copyright Michele Luongo

Quindi è come se non ci fosse più il paese?

Esatto. Non c’è più il paese. Pre e post covid sono due situazioni completamente diverse. Faccio un esempio. Francavilla in Sinni: al centro non ho trovato niente. Ci sono stato sì e no 20 minuti, ho fatto solo 25 scatti. Commercialmente è cresciuto, ma nel centro storico non c’è più niente. Io sono una persona che molte volte è stata invitata alle sagre, ma io voglio capitare nel momento meno opportuno, controra, come a Francavilla dove sono capitato verso il tardo pomeriggio in agosto. Fotografando solo momenti importanti si rappresenta una realtà falsata rispetto a quella che io voglio rappresentare. E’ “un’altra realtà”, che pure ha il suo valore, ma che non è la mia. Se mi riferisco alla foto del Maggio arboreo di Accettura: quando ci sono andato una volta, inutile ritornarci. Semmai un parametro di valutazione diverso ci può stare dopo un lungo lasso di tempo, e tornarci per verificare l’evolversi della manifestazione dopo 10 o 15 anni assume un significato, ma non dopo uno o due anni.

Il tuo progetto allora non è legato alla Basilicata che cambia?

No. E’ per documentare la quotidianità di quel momento

Quante foto hai scattato? Al di là di quelle che scegli e proponi nelle mostre e sui social?

Io la cernita la faccio al ritorno dal viaggio. Scarico la memoria della macchina, faccio una prima cernita, poi si fa una post produzione e si scelgono le migliori. In realtà quelle che metto sui social sono poca cosa rispetto al numero di quelli che ho scattato.

Anche Antonio Pagnotta ha fatto un lavoro apprezzato, sia pur circoscritto ai volti di Carlo Levi…

Certo. Ed è di grande valore. Ma così anche Bresson: documentò la Basilicata che si stava evolvendo, aveva una attrezzatura limitata, ad ottica fissa, ha documentato la costruzione della Basentana, l’inizio dell’industrializzazione della Val Basento, il Ponte Musmeci, grande fotografia, ma è cosa diversa da quella che è la filosofia che anima il mio lavoro.

Come sarebbe rimasto cartier Bresson vedendo le tue foto? Lui che documentava la Basilicata che cresce…

mah, non lo so… onestamente non riesco a immaginarlo

Aviglianon – © copyright Michele Luongo

Lui che documentava una Basilicata che cresce, dicevo, oggi? E’ cresciuta o piuttosto dopo la crescita sta subendo una regressione?

Ma no, che è cresciuta, dai! Anche il rito dell’uccisione del maiale, tutti questi riti ancestrali di tradizione rurale cui molte zone della Basilicata sono ancora legate, di fotografia antropologica, sono un discorso diverso. Mi dicono che io faccio fotografia antropologica, e io rispondo di no, che io fotografo semplicemente la quotidianità. I riti tradizionali, le masciare e altro sono un discorso diverso. Io ho avuto più possibilità perché le cose sono diverse e ho documentato più cose. La cosa che apprezzo di Bresson e che mi fa sentire come lui è la testardaggine. Bresson si concentrava sulla fotografia “street”, una cosa difficilissima, che piace anche a me, rovinata oggi da tante regole e leggi che spesso vengono travisate e sono dannose per le documentazioni fotografiche. Lui era testardo, fotografava a tutti i costi le persone rischiando. Anche io molte volte per lo stesso lato caratteriale ho rischiato ricevendo minacce. Come Bresson.

Tra le miglia di foto, volendo ridurre a tre o quattro gli sacatti per te più significativi, che più rispecchiano la filosofia del tuo lavoro

la foto dello stazionamento dellamadonna del carmine di Avigliano, quando si ferma al Monastero e ci sta un viavai di fedeli che intercedono con lei. Come se avessi fatto un autoscatto, perché dietro quella persona che chiede l’indulgenza ci sto io, proprio come dicvo: un autoscatto. Poi il Maggio di Accettura, uno dei riti arborei, ma non il più famoso. In Basilicata ce ne sono tanti più famosi come Sant’Antonio da Padova a Rotonda. MI raccontava un amico, Aurelio Pace, che lì tutti gli abitanti di Rotonda sono molto religiosi e quando i giovani emigrano e vanno in altri posti del mondo, il patto che fanno con i loro datori di lavoro è che – cascasse il mondo – devono avere 15giorni di ferie a giugno per potersi recare a Rotonda e poter festeggiare Sant’Antonio. Lì salgono qualche giorno prima del 13 giugno sulla montagna, portando anche genitori e persone anziane o disabili su sedie a rotelle. Salgono e stazionano qualche giorno, poi il 13 scendono in processione con la statua di Sant’Antonio e celebrano l’innesto del Maggio con la cima. Ma ce ne sono tanti altri in altri paesi, Castelsaraceno, Pietrapertosa e altri. L’altra foto è quella ormai famosa della Trinità. Non ci dormo la notte. Non voglio alimentare misteri, ma è uno scatto realmente non manipolato. L’ho fatto di sera verso l’ora blu nella piazzetta antistante la Trinità. Ho utilizzato una tecnica scoperta da poco, poggiando la macchina fotografica sul selciato, dare diverse inclinazioni manualmente e realizzando una sequenza di scatti per fotografare il viavai, indipendentemente dalla luce, senza usare il cavalletto, non vedendo chi passa. Quella sera ho fatto nove scatti e ne ho recuperati due, e ho notato questa figura che non avevo visto. Forse c’era, ma non l’avevo vista. Sembra una ragazza che mi ha fatto pensare ad Elisa Claps. Durante l’assemblea annuale di Penelope, dove c’erano Gildo e mamma Filomena, qualche tempo dopo ho proposto a Gildo la foto: appena l’ha vista ha sottoposto lo scatto alla madre.

Foto di Michele Luongo

Però poi pare si sia scoperto chi era davvero questa figura di donna

Sì. Siccome lo scatto era molto bello ho proposto di esporre questo scatto a Gabriele Summa, dell’Antica Caffetteria. gli ho fatto vedere la foto, gli ho spiegato e lui mi ha detto “tu hai fotografato mia moglie”. Ho pensato a tante cose, stando bene attento a non caricarmi eccessivamente di suggestioni e gli ho ceduto lo scatto che è stato esposto a Cersosimo, insieme ad altre tre foto, nella giornata dedicata ad Angela Ferrara sul femminicidio.

Ancora una?

C’è poi un’ultima foto, una signora anziana di Cersosimo. La scattai il giorno prima delle elezioni regionali, nel 2019. Era un pomeriggio, e avevo già fatto foto a San Paolo e San Costantino. A San Paolo mi è rimasto impresso vedere un “sottano”, una cantina con un cartello “attenzione alla testa” dove avevano allestito il seggio elettorale. Cersosimo è stato un centro abitato precario, puntellato, ancora ci sono i danni del terremoto degli anni ’90, quando furono colpite anche Maratea e Rivello. In un vicolo c’era questa signora anziana seduta su un pezzo di legno, nella via principale. Appena l’ho vista ci siamo guardati, mi sono avvicinato, abbiamo discusso del più e del meno. Le chiesi “cosa si dice” e lei: “figlio mio, che ti voglio dire. Qua si sta morendo. Io aspetto solo il Padreterno che mi viene a pigliare. I miei figli sono a Milano e Torino, i nipoti non mi conoscono, sono vedova e non ho nessuno con cui parlare. Qui stiamo morendo tutti”. Poi significativa la foto scattata a Calvera, con una anziana ritratta davanti ad un’Apecar parcheggiata che sul cassone riporta in bella vista la scritta “Ambulanza”. E infine una foto molto bella di Rivello, con dei gradini, un fascio di luce, una sedia vuota… ma chi aspetta? E un’altra sedia, ritornando a Cersosimo, impagliata, in un vicolo che aspettava forse qualcuno.

MA tu hai visitato anche alcuni paesi di quella che era la Grande Lucania, no?

Sì. E dovunque sono andato, Auletta, Sicignano, Roscigno vecchio, Padula, Petina, Romagnano ho trovato gente che vuole ritornare a essere lucana. Persone che ti avvicinano e ti dicono che vogliono essere lucani perché “abbiamo il petrolio”. Dovrebbero saperlo che molti dalla Basilicata vanno a fare rifornimento a Battipaglia che costa di meno!

Chiaromonte – © copyright Michele Luongo

E per il futuro?

Voglio raccontare. Dare voce a chi vive all’ombra. Persone che hanno un valore aggiunto, ma che vivono nell’ombra. C’è chi costruisce giocattoli con ingranaggi di legno, chi realizza cesti, chi conia il bronzo, chi costruisce coltelli. Voglio fare questo lavoro, ma trovare anche un contesto che consenta di raccontare. Mi hanno accusato di fotografare gli anziani. Ma se i giovani non si trovano più che fotografo? E poi un anziano ti dona l’anima, ti dona una parte di sé. Ti racconta. Chi meglio di loro può contestualizzare e raccontarti quel luogo? Ci ho provato, però, ho fatto qualche scatto con Giulia Giarletta, Miss Basilicata, una bella esperienza.

Ora però bisogna farlo conoscere questo tuo lavoro

Sì, questo è un problema, le associazioni e le istituzioni sono sorde, in Basilicata nascono associazioni che vivono giusto il tempo di ricevere un contributo. Io vorrei solo dare valore a quello che ho fatto, non guadagnarci. Prima o poi il sole sorgerà se non ora tra qualche tempo. Anche Bresson è stato valorizzato a distanza di tanto tempo.

© copyright www.angeloma.it – è consentita la riproduzione anche parziale a scopo di critica, confronto e ricerca purché con citazione