di Angelomauro Calza

 

Una foto con due ragazze che su un terrazzo si lasciano andare in un girotondo sfrenato legate da una corda…

“Una delle due sono io, l’altra è una amica rappresenta la trasformazione, il dramma vissuto attraverso questo strumento, la corda, che ritroviamo come strumento divisorio, che disunisce le persone, che è uno strumento di tortura, e che puoi usare in mille modi per farti male e che potenzialmente rappresenta tutto quello che può distruggerti.

Ma è anche simbolismo di salvataggio, o no?

Certamente, nel momento in cui smetti di usarla su te stesso e la utilizzi per lanciarla a un altro diventa… nella foto sono due persone che stanno giocando, è fortemente simbolica ed evocativa.

Noemi Gherrero

Sono tante le foto, e molto belle. Lei è napoletana. Ha vissuto il lockdown come tutti noi, ma lo ha vissuto in maniera produttiva, creativa, ispirata dalla nuova condizione di vita. E lo ha portato anche a Potenza il frutto di questo suo lavoro. lei è Naomi Gherrero, da molti conosciuta attraverso il piccolo schermo in qualità di conduttrice del programma Rai “Le parole per dirlo”. In realtà lei è anche tanto altro, da laureata in relazioni internazionali all’Orientale, appassionata di simbolismo e psicologia, amante e protagonista di musical e di cortometraggi, giornalista. A Potenza ha appena chiuso i battenti la sua mostra fotografica “Scomposizioni e fughe dell’anima: arte pandemica”.

Ma come è nato questo lavoro?

E’ nato nel primo lockdown, a marzo 2020. E nasce un po’ come una “risposta” in chiave personale. Non c’è una velleità di presunzione nel messaggio o dal punto di vista artistico, è stato peraltro il mio primo lavoro che ho realizzato attraverso la fotografia. Le fotografie sono state quasi tutte scattate da mia sorella e tre scattate invece da Teresa Fini, fotografa napoletana, con la supervisione di Luciano Ferrara, fotografo veramente famoso e importante, conosciutissimo in Italia e all’estero oltre che ovviamente a Napoli. Spesso un lavoro nasce quando tu improvvisamente senti l’esigenza di mettere nero su bianco di quel che sta accadendo e lo fai attraverso quelli che sono i tuoi strumenti. A me è successo proprio così, ho sentito proprio la voglia di raccontare e mettere al mondo qualcosa di diverso rispetto a quel che stava accadendo.

Una sorta di risposta alla reclusione forzata o alla pandemia?

E’ un lavoro di riposta alla crisi, intendendo per crisi non solo l’aspetto dominante della vicenda, soprattutto nella prima parte: l’incredulità, i morti e tutto il resto… ma proprio la crisi tua, quello che succede dentro di te e che ti dà però la possibilità di vivere quel tempo che in quel momento percepisci come tempo che ti resta, cercando di lasciare qualcosa rispetto a quel vissuto. Un po’ come se fosse stato che so? Un cantante che scrive una canzone o uno scrittore che scrive un libro, a me è venuto questo lavoro che ho visto per immagini.

Sfogliando la brochure sono rimasto colpito da tre fattori-guida: claustrofobia, l’incertezza del futuro e la paura. Queste tre cose mi hanno colpito particolarmente. E poi la metamorfosi… Come le hai vissute nella rappresentazione fotografica?

Cominciamo dalla prima immagine. Come hai giustamente individuato è una claustrofobia simbolica, essere circoscritto all’interno di un ambiente è molto soggettivo, c’è chi è stato in un ambiente di 150 metri quadrati e chi in uno di 25 e magari pure con la famiglia. Io mi sono ritrovata in casa da mia madre in un ambiente comunque protetto, ma che non era esclusivamente mio e tra le mille attività che ho messo in moto in quel periodo c’è questa che è relativa proprio al creare qualcosa.

Stimolando quindi una reazione fatta di cambiamenti? E tu la racconti?

Si tratta di quel tipo di criticità che ti porta a riconoscere quelli che sono stati i parametri che hanno caratterizzato la tua vita fino a quel momento, e sono quegli stessi parametri che ti portano in parte ad adattarti e in parte ad inventarne altri. Ed è proprio quello che in un certo senso rappresenta quella che considero la foto più importante: quel velo coperto che è, sì, qualcosa che è una ingerenza dal di fuori, che ci costringe dentro, però è anche qualcosa che da sotto ha facoltà di schiudersi, è quel qualcosa che sotto si muove, ed è quella per me la creatività

Quanto ti sono mancati “i corpi” durante il lockdown?

Il tempo, quello vero, è stato troppo poco perché ci fosse una mancanza completa, ma sufficiente affinchè si sentisse la mancanza di come tu vuoi stare al mondo. Un po’ come anche un azzeramento spaziotemporale, come se un attacco hacker all’improvviso riportasse tutti i conti corrente a zero e siamo tutti sulla stessa barca, nelle stesse condizioni, stesso punto di partenza e ti viene data una seconda possibilità. Quindi questo è stato un momento attraverso il quale ho ritrovato la mia forza creativa. E questo avviene attraverso un dramma, una rielaborazione di un vissuto. Per me quella foto è tra le più importanti perché è un principio, ma che coincide con una fine.

Ci sta spesso il Vesuvio con il Monte Somma a fare da sfondo….

E’ che nulla accade per caso. Non è stata voluta, questa cosa, ma poi è stata cercata. Quello che si vede è un terrazzo condominiale, di un palazzo, che è stato uno dei pochi luoghi all’aperto che si potevano frequentare e che è poi diventato un teatro. Io avevo bisogno di ricreare degli ambienti, ci siamo ritrovate a giocare molto su quel terrazzo che è diventato un po’ un teatro e poi è stato facile mettere il contatto col mondo utilizzando il Vesuvio che rappresenta la forza della natura e l’incertezza, la forza dominante. Perché in quel periodo noi siamo stati dominati. E’ durato poco, ma siamo stati dominati

Come nasce la mostra e come arriva a Potenza, ospiete delle “Ali di Frida”?

E’ stata una casualità, anche se nulla è casuale. Franca Coppola, della Ali di frida, è venuta a Napoli al PAN, dove c’era questa mostra. Avevo già chiuso una tappa a Matera. A lei è piaciuta molto e allora ci siamo messi d’accordo ed ecco il come.

A Matera dal 28 di settembre, ora hai chiuso a Potenza e poi?

Tutto è partito a Pisa l’anno scorso, il 22 settembre, poi Verona, poi di nuovo lockdown, poi Napoli a luglio, poi Oliveto Citra, per il Sele d’oro, poi Matera e Potenza. ora Firenze e poi Roma. Mi aspetto di poter continuare a girare.

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