Riceviamo e pubblichiamo come richiesto e per correttezza la lettera della dottoressa Vittoria Capalbo con alcune osservazioni all’articolo sulla carenza di medici di famiglia da noi pubblicato lo scorso 25 novembre

Gentile dottor Calza
Ho letto con grande interesse l’articolo da Lei firmato (vedi Articolo del 25.11.2020 ), riguardante la carenza di medici di famiglia a Chiaromonte ora che il dottor Lauria è andato in pensione. Un articolo che, parlando della situazione locale, pone l’attenzione su una problematica di respiro regionale. E sono d’accordo con lei quando scrive che, della questione, si dovrebbero occupare i vertici di Regione e Azienda sanitaria. Vorrei, però, avere l’occasione di fare una precisazione in merito ad una frase, contenuta nel suo articolo, che per ovvie ragioni mi ha particolarmente colpita e chiamata in causa. La frase è la seguente: “E’ accaduto che ora a Chiaromonte opererà come medico di famiglia un solo dottore, una donna, che dovrà quotidianamente arrivare dalla vicina Senise.

Uno scorcio di Chiaromonte (ph. Vitale)

Vabbè… almeno le abituali ricette per gli anziani sono salve, ma vuoi mettere la figura ancestrale del medico di paese che va a farsi benedire?”  Sono a Chiaromonte da 19 anni e non ho mai avuto problemi a “viaggiare” dal mio paese, Senise, che non è certo distante centinaia di chilometri. Basterebbe chiedere ai miei pazienti se e quanto io sia disponibile in qualsiasi momento, anche (ci mancherebbe) al di fuori del turno di lavoro. Come specialista io non mi reputo (ma il mio lavoro parla per me) un ‘’medico impiegato’’, che serve a garantire solo le ricette, come purtroppo si fa intendere nella parte di articolo che ho riportato. Attenzione a non commettere l’errore di celebrare (giustamente) il ruolo fondamentale dei medici di famiglia e, nel contempo, minimizzare quello di qualcuno nello specifico. Per il resto: auspico che presto Chiaromonte abbia un altro medico, a parte me, e mi associo alla battaglia di una migliore organizzazione territoriale.
La ringrazio dello spazio che vorrà concedermi nel suo giornale online.

Dottoressa (è un termine più sintetico de “un solo dottore, una donna”) Vittoria Capalbo

Risponde Angelomauro Calza

Gentile dottoressa,

probabilmente nell’articolo in questione ho usato espressioni poco chiare, e faccio mea culpa e chiedo scusa se si sono prestate alle osservazioni che lei ha inviato. Non era mia intenzione sminuire la sua attività, ci mancherebbe, e perchè poi? Non ci conosciamo, ma ho sentito spesso parlare di lei e so bene da quanto e con quale passione lei svolga la sua mission a Chiaromonte: va solo elogiata! Quel periodo serviva non a sminuire, ma ad accentuare e amplificare la figura e l’opera di un medico tradizionale di famiglia che esercita in un piccolo paese, quello in cui è nato, e dove oltre che medico è tante altre cose.

Uno scorcio di Chiaromonte (ph. Vitale)

L’espressione “un solo dottore, una donna” è volutamente utilizzata in contrapposizione a chi le donne le sminuisce o, peggio, le mortifica, quindi voleva e vuole essere un elogio e non una diminutio. Questione delle ricette:  è legata al fatto che per Asp, Regione, dirigenza burocratica e piani alti del potere la questione del pensionamento di un medico (il dr. Lauria è preso a mò di esempio, solo a mò di esempio, ci tengo a sottolinearlo) parrebbe ridursi ad un problema da risolvere fatto di semplici prescrizioni che potrebbero venire meno come servizio (e chi la sente la gente che si lamenta che non ci sta più chi gli prescrive Cardioaspirina e Crestor?), tralasciando e rendendo senza importanza (e quindi sminuendo) tutto quanto un medico che opera in un piccolo paese fa “di più”, come contorno alla sua funzione più prettamente “d’ufficio” (e lei stessa infatti tiene giustamente a sottolineare la sua più ampia disponibilità nell’esercizio della professione). Mi esprimo meglio: non intendevo affatto dire che lei fa solo ricette, assolutamente, ma che per i manager della Sanità lucana per risolvere il problema di un medico di famiglia in meno, basta che ci sia chi le fa le ricette agli anziani: assolto aritmeticamente il compito e coscienza a posto, ma non è così, per niente! Quindi, mi consenta e spero sia riuscito a farmi comprendere, la lettura da dare al mio articolo è esattamente l’opposto di quel che lei (sicuramente per colpa mia che non sono riuscito a meglio esplicare il concetto) ha giustamente obiettato. Insomma: i medici di famiglia sanno bene qual è la loro mission, operano correttamente e vanno anche oltre, chi i medici si trova a gestire (e presuntuosamente spesso pensa di saperlo fare bene salvo non allargare i suoi orizzonti oltre la scrivania), riduce la mission di un medico di famiglia alla redazione di ricette e alla misurazione della pressione agli anziani: non è affatto così, perchè il medico di famiglia “è tante cose”, dove probabilmente la ricetta è l’ultima per ordine di importanza, e bene ha fatto a scrivermi, dandomi così l’occasione per rimarcare tutto quanto sopra specificato. Con stima e ringraziamento per tutto quanto lei e i suoi colleghi quotidianamente fate (concretamente) “per la gente comune” lucana (che chi non è gente comune sa bene come salvaguardarsi la salute in ogni caso) La ringrazio e mi scuso ancora una volta per aver creato un equivoco evitabile: navighiamo sulla stessa rotta, vogliamo tutti una Sanità migliore, mi auguro che alla fine riusciremo. Buon lavoro

Angelomauro Calza