di Maddalena Rotundo
Ci sono alcune cose che mio marito non sopporta, tipo se tocco i vestiti nei negozi di abbigliamento ; oppure se rubo pezzi di piante o semi, o se mi fermo a fotografare: per lo più alberi o belle case. Conservo le foto per un po’, le guardo per notare tutto ciò che non colgo al momento, poi le cancello.
La scorsa settimana mi è successa una cosa a Bucarest: passeggiavamo in una zona moderna della città che si è sviluppata ai lati di una lunghissima arteria, piena di bei complessi residenziali per ricchi, ville con piscine e giardini privati che esplodevano di colori nella primavera conclamata e belle Porsche parcheggiate; ci sono anche alcune ambasciate ubicate in prestigiose e rappresentative dimore nel mezzo di ampi parchi ben protetti da muri , sistemi di videosorveglianza e guardie armate; e scuole internazionali del tipo anglosassone destinate ai figli dei diplomatici o a utenza di ceti sociali affini, con annessi campi da tennis / basket/ baseball, palestra , parchi con fontane, giochi e bandierine; scuole materne organizzate come fattorie dove cantano i galli, poi tante cliniche per animali, centri benessere e massaggi orientali, qualche locale e ristorante chic… Ad un certo punto siamo passati accanto ad un giardinetto dove ha attratto la mia attenzione una magnolia giapponese altissima. L’albero, già fiorito, copriva le finestre di una casa , forse risalente agli anni ‘60, ben tenuta, con i muri rosso scuro e tetto nero spiovente, diviso da un grosso abbaino con due finestre. Il muro di cinta non era alto e lasciava intravedere il piccolo giardino. Sul cancello chiuso c’era un cartello in metallo dorato con incise le parole “Embassy of the State of Palestine. Residence”. E infatti, guardando bene, una bandiera stava mestamente ammainata, quasi a mezz’asta , nascosta da un pilastro del cancello.
L’impressione era di un posto non abitato da nessuno. Mentre stavo lì a guardare, mio marito aveva continuato a camminare ed era più avanti di un centinaio di metri. Ho pensato di fare una foto e nel momento stesso in cui la facevo mi sono resa conto che avevo sbagliato. Mi giro sulla sinistra e da un bugigattolo tipo vecchia cabina telefonica dai vetri oscurati esce un bel ragazzo di circa 25 anni, vestito da guardia giurata. Si avvicina e io balbetto : ” I couldn’t do it ” Lui mi dice una cosa tipo : “Purtroppo ti devo chiedere perché hai fatto la foto”. Io che a volte sono proprio sciocca dico che non sapevo che lo stato di Palestina avesse l’ambasciata, e dicendo questo forse do l’impressione di avere ben altri pregiudizi sulla questione. Mi affretto a chiedere scusa e cancello la foto. Lui è cortese e sorride mentre mi parla. Nel frattempo mio marito si è dileguato. Capisco che al tipo non interessa sapere che cosa penso o credo, vuole assicurarsi che io sia una passante capitata lì per caso, innocua per l’incolumità degli abitanti di quel posto. E allora riferisco che ho fatto foto a giardini e case di tutta la strada. Lui per fortuna si convince : “All right “ I apologize again” “ La revedere “ Good bye” e me ne vado. Quando raggiungo mio marito, lo rimprovero di essersi disinteressato delle sorti della moglie e lui mi risponde che sperava che mi arrestassero , così imparo a ficcare il naso. Tornata a casa mi sono messa a cercare informazioni sulla questione dei rapporti tra la Romania e lo stato palestinese e ho scoperto che Ceausescu fu tra i primi a riconoscere la Palestina e che lui stesso si propose come mediatore di pace nel corso di alcune crisi. Io nella mia ignoranza non sapevo che gli stati che hanno riconosciuto lo stato di Palestina avessero la relativa ambasciata.