Il ristorante di Antonio Spadone che insieme al nipote Gaetano propone piatti di eccellenza regionale con una puntatina al mare pugliese, convince anche Alessandro Borghese e vince la puntata lucana dei Quattro ristoranti
di Angelomauro Calza
…Che bisogna andarci, in un ristorante. Sedersi e mangiare per comprendere a fondo i tanti perché che si ritrovano nel gusto dei piatti proposti e serviti. Regola generale, che si applica ancor di più quando a stimolarti le papille gustative e mettere in allarme le vibrisse è la tv. Ah, se video, audio e foto potessero emanare profumi! Almeno a parziale ristoro del non poter diffondere sapori!
Ci stuzzica ora andare a far visita al ristorante D’Avalos, che prende il nome da Maria, la moglie del principe, conte e signore nonché valentissimo musicista Gesualdo da Venosa. Lei venne uccisa dal marito perché fedifraga, sorpresa a letto con il suo amante, il duca Fabrizio Carafa. Il locale è proprio di fronte al Castello aragonese che fu di Pirro del Balzo e degli Orsini. Sì, vabbè… chi è della zona lo sa che prima era una casa d’appuntamenti, forse la più famosa e conosciuta da quelle parti, quella con l’insegna “Dolce amore” e con le ragazze che ad ogni quindicina erano sempre più belle per il piacere dei clienti. E ancora oggi quei locali dispensano piacere. No, non quello di prima. Sempre corporale è, e sempre un appuntamento devi prendere per sicurezza, ma stavolta si tratta di cucina, e se mia moglie mi sorprende a tradirla non a letto, ma a tavola… pure a omicidio potrebbe finire, salvo non lasciarsi tentare anche lei dai piatti di Antonio Spadone.
Ora che ha vinto il titolo di miglior ristorante lucano in una puntata dei “Quattro ristoranti”, la trasmissione condotta da Alessandro Borghese, Antonio ha ricevuto quella botta di notorietà nazionale e il riconoscimento che si merita, a sei anni dall’inizio di questa attività: lui in cucina, il nipote Gaetano in pizzeria.
Ma la carriera culinaria di Antonio Spadone Inizia nel 1998, aprendo a Venosa il primo locale, Amarcord; poi si cimentò con il Divino wine bar e poi dal 2006 bal 2009 gestì l’albergo-ristorante-pizzeria Villa del sorriso. Ma ci sta poco da fare: Antonio è da sempre innamorato dell’Emilia Romagna e con la moglie Antonella per un periodo, lavorando sempre insieme, si trasferiscono tra Riccione e San Marino e restano in zona per quasi 13 anni: lui in cucina, lei a servire in sala. Arriva poi un bambino e alla fine, dopo anni di Emilia ritornano a Venosa.
Proprio là, di fronte al castello, ci stava il rudere di quella che era una casa d’appuntamenti, poi trasformata in un ristorante che si chiamava Il Grifo. Era diventato un rudere, da ristrutturare completamente. Antonio si lascia convincere dal fratello Saverio che aveva acquistato i locale che viene ristrutturato e nasce così la società che attualmente lo gestisce: 2015, nasce il ristorante D’Avalos, dove si servono piatti tipici e funziona anche la pizzeria, sì, ma la specialità indiscussa, in uno con i piatti a base di suino nero lucano (di cui Antonio va a rifornirsi da Canio Abbate, di Albano di Lucania, che alleva la specie rigidamente allo stato brado), è il pesce. D’altronde per uno che ha trascorso “i migliori anni della nostra vita” a Riccione e sulla costiera romagnola come potrebbe non essere così? Chi c’è stato racconta di un favoloso modo di cucinare e servire il rombo con le patate, di una maestria insuperabile nel trattare i crostacei, di presentare antipasti di pesce caldi e freddi, tartarre di tonno, ombrine sfilettate, per sfociare nel trionfo di una frittura mista che non vorresti mangiare per quanto è bella.
Ma il ristorante ha anche grande rispetto per la tradizione lucana, e allora ecco che non mancano piatti con peperoni cruschi, formaggi locali, caciocavallo podolico: e vai allora con styrascinati, orecchiette, “maccaruni cu lu f’rrett’”, e, come degna chiusura di questo articolo, una specilità del ristorante, il piatto forte: Cacio e pepe lucano, di cui vi diamo la ricetta… standard: spaghettoni di grano senatore Cappelli conditi con pecorino lucano e serviti nella forma dello stesso pecorino. A chi, come me, è cultore anche del peperoncino piccante, non è certo fatto divieto usarlo, nonostante ci sia già il pepe. Proveremo.